Villa “Augustea”

La storia della “Villa Augustea” di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, inizia negli anni ’30 del secolo scorso quando, in seguito ad alcuni lavori agricoli vennero fuori importanti ritrovamenti.

La storia della “Villa Augustea” di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, inizia negli anni ’30 del secolo scorso quando, in seguito ad alcuni lavori agricoli vennero fuori importanti ritrovamenti.

In quel periodo, sullo spazio che copriva la villa vi era un frutteto in cui il proprietario aveva una struttura dove deponeva gli strumenti da lavoro. Poiché il suo intento era quella di ampliarla, iniziò a far scavare nelle prossimità per iniziare i lavori ma, ben presto, si accorse che le fondamenta avevano delle caratteristiche diverse rispetto alla parte superiore.

Dal primo scavo archeologico, effettuato su un’area di 30 metri, saranno riportati alla luce una parete, la parte di un porticato, una colonna e la testa di una statua.

Le prime supposizioni, molto affrettate, stabiliranno che si trattava di un edificio romano, distrutto dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., e che la statua rinvenuta era quella dell’Augusto perché, stando alle testimonianze di Tacito e di Svetonio, il nobile discendente della famiglia degli Ottavi – i cui possedimenti si trovavano ad Ottaviano, cittadina non molto distante da Somma – doveva essere morto nei pressi di Nola.

Tutto tace fino al 2002 con l’arrivo delle campagne di scavo da parte della Missione Archeologica dell’Università di Tokyo. Gli studenti giapponesi, inizialmente interessati a Pompei, grazie al Professor Antonio De Simone dell’Università “Suor Orsola Benincasa” cambiarono rotta e accettarono la proposta di iniziare gli scavi proprio dal punto esatto in cui si era partiti circa 70 anni prima.

Il primo dato importante che venne alla luce, insieme ai reperti, è che la villa, a pianta esagonale, fu seppellita dall’eruzione del 472 d.C., la cosiddetta “eruzione di Pollena”; il secondo fu che la statua rinvenuta non era l’Augusto ma Dioniso, il dio Bacco dei Romani, perché portava in braccio un cucciolo di pantera, animale simbolo di questa divinità.

Resta il dubbio sul proprietario della villa, in quanto non è stata trovata nessuna iscrizione e nessun documento che si possa far risalire a qualcuno. Tuttavia, per le dimensioni, per la struttura e per la preziosità dei materiali utilizzati – le colonne monolitiche sono ricavate da un unico blocco di marmo proveniente dall’Asia Minore mentre il pavimento mosaicato è composto da tessere di colore bianco – il proprietario doveva essere un personaggio facoltoso.

Le absidi, che si trovano dietro la statua di Dionisio, rappresentano ulteriori ambienti abitativi della villa e contengono ancora le decorazioni originarie. La più grande presenta un corteo di tritoni, figure mitologiche metà uomini e metà pesci, e nereidi, ovvero donne che cavalcano delfini. Accanto a una di queste è raffigurato un bambino, che si può sempre identificare con Dioniso poiché, secondo uno dei miti riconducibili alla nascita del dio, questi fu affidato a una zia che era una nereide.

La figura del Dioniso è, inoltre, legata al secondo utilizzo della villa, ovvero quello di luogo dedito alla produzione del vino, una caratteristica comune a tante ville vesuviane, come Villa Regina a Boscoreale o la Villa Romana di Ponticelli.

Al di là del porticato, infatti, proprio vicino alle absidi si trova la cella vinaria con dei “dolia”, contenitori di terracotta dalla capienza di circa 1000-2000 litri, utilizzati per conservare olio o vino.

I “dolia” sono interrati e quello che si vede è solo la bocca del recipiente, questo per favorire la conservazione al fresco del vino. Poiché i “dolia” ritrovati sono più di trenta, si presume che la produzione vinicola della villa non fosse solo riservata all’uso domestico ma che ci fosse una vera e propria attività commerciale.

La villa, comunque, poco prima dell’eruzione del 472 d.C. era già stata abbandonata e spogliata di tutto, fatta eccezione per la statua di Dioniso che, probabilmente, era stata lasciata lì come una sorta di protezione. L’edificio era quindi stato adibito a magazzino, come testimoniano un forno, mai usato, una macina molto usurata e un soppalco utilizzato per deporvi le derrate alimentari.

Il portale, che è l’elemento più suggestivo della villa, si ritenne, in un primo momento, fosse l’ingresso dell’edificio. La decorazione, che interessa solo un lato, è perfettamente conservata: si possono ben distinguere le pigne d’uva, il flauto di Pan, il cesto di serpenti e tutta una simbologia riconducibile sempre a Dioniso.

Il portale, però, non conduceva a nessun ambiente abitativo: attraversandolo, infatti, si arriva su una strada fatta di basalto, molto usurata, che metteva in comunicazione i diversi ambienti. Il calco della zona antistante la strada, nel momento del ritrovamento, ha dato un terreno arato che, una volta tolo, ha lasciato delle buche. Alcuni ritengono che queste buche ospitassero la vite e che, quindi, il portale fosse l’ingresso al vigneto; altri, invece, sostengono che le buche venissero utilizzate per la concia delle pelli.

Oltre alla statua di Dioniso, ne è stata rinvenuta un’altra a cui è stato dato il nome di “peplofora” (donna con il peplo), così definita perché priva di braccia. La statua non porta attributi che la identificano e, poiché la sua veste presenta i colori del lilla e del viola, potrebbe essere la rappresentazione dell’autunno. Entrambe le statue sono copie, quelle originali si trovano al Museo Archeologico di Nola, nella sezione dedicata a Somma Vesuviana.

Al di là delle absidi è stato ritrovato il muro perimetrale di una cisterna del I secolo d.C., che ha quindi una datazione diversa da quella della villa, stimata intorno al III-IV secolo d.C..

Alcuni ritengono che questa cisterna avesse la funzione di raccogliere l’acqua piovana; altri, invece, sostengono che alimentasse l’Acquedotto Augusteo che partiva da Serino e arrivava fino a Capo Miseno dove si trovava la flotta dell’Impero Romano. Poiché l’acquedotto si sviluppava in gallerie sotterranee, questo dislivello faceva perdere acqua e, da qui, la necessità di creare queste cisterne.

Le evidenze superstiti delineano la presenza di un vasto complesso monumentale, scenograficamente rivolto verso il mare, la cui linea di costa doveva essere allora notevolmente avanzata rispetto a quanto non appaia oggi, a causa dei fenomeni bradisismici. L’ipotesi interpretativa è che si tratti di una villa d’otium di grandi proporzioni, con una parte forse destinata ad attività produttive.

Ciascun livello è caratterizzato dalla presenza di una sequenza di ambienti paralleli, alcuni dei quali con soffitti voltati, destinati al soggiorno, altri collegati all’utilizzo di riserve d’acqua, immagazzinate in cisterne.  

Da recenti indagini archeologiche subacquee, preliminari al posizionamento di una barriera soffolta nello specchio di mare antistante la Villa, sono emerse strutture riferibili ad ambienti, porticati, padiglioni, di una villa d’otium di enormi proporzioni, attribuita a P. Cornelio Dolabella.

La villa si estende su un fronte lineare di oltre 120 m e digrada per oltre 100 m verso il mare aperto, fino a 6 m al di sotto dell’attuale livello del mare. Sono stati documentati due livelli sovrapposti del fronte mare, di cui non si sospettava la presenza, e si è individuata l’antica linea di costa d’epoca romana. 

Dove siamo 

Somma Vesuviana (NA) – Via Starza della Regina, 2

Informazioni utili 

Calendario aperture 

Il sito è momentaneamente chiuso ma sarà visitabile in occasione delle aperture straordinarie promosse dalla Soprintendenza.

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Ultimo aggiornamento

16 Marzo 2023, 15:53